domenica 26 settembre 2010

SACRAMENTA (2002)


Sacramenta

                                                       [2002]



1. La malafica

 — Serrata in ammalie tante o male leve, laviche bordure di venticose púlipe, o vetero pertugio (inane) di male idee, te ne vieni ora a perorare, qui, male — male che ti colga, a te megera triste!

 — Ventricolare oracolo fallace e falso, immonda fauce che sproloquia, idee, non sue, non d’altri, non certo di quel fallo (non mai esperito, dico), ma di ignobile ostentato istinto, della depravazione.

 — Dito che ti percorre a sostituto, che ti deflora ad artificio, che idee ti slabbra in nere gole deplorate, in recessure, in fichi secchi alle tue nozze convolati, tra pochi e troppo pochi biechi a scontornare (idee), diabolico mingegno, orlo, marchingegno mai statuto o pattuito...

— La malafica si protende, il muso è duro, gli spigoli che accentua, le forme dice che riforma informi, e non dice e non tace (lei) ma accenna, sentenze che blatera a sproloquio, a blessura di indefessi sfasci, e fascio che l’avvolge tutta.

— Umori e non amori sempre, giammai amata, giuncata forse, e che? tu la vorresti (forse) qui impalare? Umori sozzi che emette ripugnanti, lei, il buscio della piovra dei fanatici piú ciechi, gli integralisti della croce...

— Cosí mai laeta e mai ratta, una magra livida bagascia impazza, ché dal guizzo di scemenza ministeria è travoltata, ché l’ha conquisa il fallo abnorme d’onda media, il pulpo glande, il golpe in vulpe, il mafio-sondo-tele-crimo-e-ciarlatano-piduista, il nostro picciol cotidiano pater noster (onnipervasivo).

— Ma sanza in oltre penetrarla! E se ciascun la schifa, la tua sfica, il tuo abisso d’orrida sgualdrina, la tua fica, che trame intrica per un tarlo di rivalsa, una foia contr’al mondo che di regola andrà buca — allora spalancati, gorgo, e ciò che segue ingoia: che il tuo dio ti maledica!



2. Il merdunto

— Ce la smerci, la tua merda, dentr’ai tubi! E li colludi, ti colludi coi conflitti, bocca stolta, bocca fresca: dentr’ai tubi che la sparano facondi, la tua merda esiziale, exenziale e craxa,

— Glassa di verminosi ignobili pastrucchi, filàna dentaria a bocca tutta, che trangugia e sputa: a scatarrare – dalla bocca tisica – anatemi vetero-comuni, semper proni alla bisogna come i lor destinatari (d’altra parte). E’ la tua parte,

— La tua broda vomitata che pervade, che s’incista ne’ meandri della testa, che fluisce (tutta) come lava, come ava, come smerda (e ci pervade) che ci ingorga gli interstizi, gli spiragli perdurati, i pochi nostri, avanzati...

— Senza scampo ti scalmani e li riempi, e ci riempi. Merdunto! del signore! Merdovunque! Merdatutto! Acclamato da signore sdilinquite che abborracci al mandolino, tu, il gran presunto seduttore, bòtolo, che sei rogno pustoloso, e napoleíno! Attaccato al campanello,

— C’è il conflitto da galera, la manona, la mannaia, la mannoia, da cui ti scongiurò – dicono – quel perfido baffino. E tu lo sputi e spremi e sproni e speroni e smaroni, e su ci smerdi emeriti tranelli, tu, mariuolo da due soldi, il Merdingloria!

— Che allestisci – affermi – la baldoria sconfinata, la smisurata gaudendia del futuro, il cibo in terra, il nutrimento e l’abundantia, la pappana sempiterna, al popolino...

— E negl’atri antri ti nutri delle fole bibliche, dei prestanomi, dei dellutri, dei bongiorni, dei tramonti, degli sgorbi della sera... e allora, sai che ti proclamo? Schiacciaci, spaccaci, ammaccaci, e poi dacci i nostri cocci, i cocci di noi stessi vuoti, da inghiottire, da evacuare,

— E filacche di scaracchi, pozzi neri per nuotare, mefitiche atmosfere, cloache e discariche (abusive?) che per tua lungimiranza, per la provvidenza che dispensi senza posa, ci assorbiranno tutti dentr’ai gorghi e crateri puzzolenti,

— Che saranno a noi ricetti prediletti, o zampilleranno per di fuora fuoco e fiamme, e distruzione, e ammorbi miasmi d’organismi putrefatti, o gran merdoso! O mar mare dei maramaldi, o losco lusco, o bel mafioso!

— Io m’arrendo e (prostrato) ti idolatro, come il dio dell’ultimo giudizio, come Giovanni in Patmos io t’attendo e io t’invoco, e le tue laudi, ecco, a rosario dispiegato, canto – o immane immenso (immerdo) immondo Coso...

                                        (continua)





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