domenica 26 settembre 2010

OTTO SONETTI (1985-86)


            OTTO SONETTI
            (per Emilio Villa)



            I.

            Indomo per via accanito a suggere
            la pena antica o il tattico peana
            lo stacco diluito in fatto livido
            pneuma di voce disarticolata
                        ecco mi prodigo allibito a intendere
            ex motu proprio qui che si dislana
            ossia vero intoppo o poco brivido
            di mia indolenza sulla carta lata:
                        o che il cipiglio d’insensato emerso
            tra faglie e fogli e strappo di ventura
            si slabbri in quanto bieco o esali prima
                        se il denotato è frutto contro verso
            di fiato corto reso in prematura
            taccio un’aria che d’eco non collima.

                        (31.8.85)


            II.

            Fattasi  acerba per la morsa ingenua
            che irata penso ne vorrebbe invano
            ottuso il volo e raggelato il sangue
            di non vissuta né mai vinta immota
                        imago plastica da posta strenua
            venante a vespero se tale è il piano
            per cui tu mimesi di fede pingue
            t’innalzi ad esca fraudolenta idiota
                        la pena luccica se per un lampo
            da umano abbaglio il fingitore è preso
            in proprio laccio d’illusoria schiuma
                        a vederlo illeso prigioniero in campo
            non cigno vivo nel biancor rappreso
            ma insulto all’occhio di moplen la piuma.

                        (30.8.85)


            III.

            La ripicca o ecco remittenza dello
            scherno che tracotante usasti prima
            nel bel miraggio inerte a far fruttare
            un abbrivio d’età divaricata
                        e la remora di non appor sigillo
            sul caso tuo per ovvio teorema
            in reiezione a quell’odioso dire
            che ti fa usuale infante depravata
                        ribalteranno il segno degli stalli
            di prospettiva dura nell’inedia
            fin che il tuo corpo a serpe affusolato
                        e a premio grato l’oro dei capelli
            sia pur per nudo vincere una sfida
            ebbro mi faranno e ritto senza fiato?

                        (4.9.85)


            IV.

            Il volo sí il volo che ho rubato
            al seme di uno sguardo alla distanza
            nel cappio o brindisi che pongo oscuro
            in atto e poi lo schianto del tuo rosso
                        in un giorno per bagliore ritardato
            (se di norma spicco è là in potenza
            lo stemperarsi di un nocciòlo duro)
            ritrova credo il solco del tuo sesso
                        a mena dito di demarcazione
            quando avviato all’improvviso il moto
            protendi il capo e tracciano le labbra
                        una smorfia che dà rivelazione
            peculiare tratto tuo e al mio voto
            pio conforto o pur frode che t’allegra.

                        (19.9.85)


            V.

            Sortir sonetti mi soddisfa assai
            poi che ogni volta che ho ceduto a farlo
            intriso al mio silenzio un raro suono
            si propalava nello spazio bianco
                        o periplo che non compiei giammai
            tra casi posti in dubbio o tosto tarlo
            distillator di squarci d’abbandono:
            come accidiosa dico per lo stanco
                        brio acceso nell’infliggere dolori
            anche tu vendicatrice dei ritorti
            immaginarî sorti e cedi al vanto
                        in verità stregato che di fuori
            preme vedi esitando a ricondurti
            là dove attende il mio tripudio o schianto.

                        (25.9.85)


            VI.

       Il plesso d’interdipendenze interne
       che è cuore et agile motor del testo
       (il tuo lo ribadisco mi querida)
       si nutre d’apocopi sfumanti in fio
                   ipermetrico e di sillessi alterne
       per l’incessante catabasi in questo
       suo clinamen di trama o tela infida
       a mentir tutela: il linguaggio è dio
                   còlto nell’ipostatica del falso
       per abiti barocchi in consunzione
       sia rilievo del solco di uno scarto
                   con rima metro verso e quanto è invalso
       a interagire in vieta convenzione
       sia incanto eccelso che produce infarto.

                        (26.9.85)


       VII.

       Tragica risacca che mi separa
       alla risata scelto tra saliti
       buî silenzî e disperati pianti
       per una tacca o tocchi soli ardori
                   nuovi che nell’involuzione avara
       dànno tedio in danno ai ronzi triti
       o sciami in testa e scherno ai postulanti
       impulsi di(s)ragione sí come pori
                   dilatati vani a dislocar caute-
       le nel segreto intrico dell’irrgarten
       glossa a cui sappi tutto è decretato
                   e non di meno crampi per le laute
       irriverenti fitte a strappi e carte
       cui non comprendo è legge di mercato.

                        (4.10.85)


       VIII.

       Per un sussulto risicato schianto
       exclamo colmo d’asserita intesa
       nell’atto (so) che si produce esatto
       di franca furia — in sicumera — fremo
                   fin che figura ad astro esplosa o manto
       sí ci racchiuda allor che tanto accesa
       rosa fulgida scorgo stupefatto
       ed istruisco nuda in orlo estremo
                   mia potestà di trasmutare in riso
       il simbolo percorso o piano ordito
       che è nodo sciolto e frúscio d’ala oscura
                   e carezza nel profanare un viso
       se allibisce il moto ma come invito
       a suggere di labbra schiuma pura.

                        (20.4.86)




Nota agli «Otto Sonetti»  [1]

Cinque mozioni coercitive: 1) metrico-quantitativa, trattandosi di sonetti regolari di quattordici versi endecasillabici; 2) rimaria, secondo uno schema non codificato dalla tradizione e che, tuttavia, tramite le rime suddivide ciascun sonetto nelle classiche due quartine della fronte e due terzine della sirma; 3) fonetica globale, con l’instaurazione di una parossi­stica preponderanza del significante verbale (assoggettato a tutti i richiami fonici e analogici conseguenti) sul significato concettuale; 4) logico-sin­tattica, dal momento che ciascun sonetto consta di una sola frase, interro­gativa o concessiva o disgiuntiva, con evidente attrito esercitato sulle norme della lingua e funambolismo imperante intemperante; 5) semantica, poiché i testi indicano la possibile realizzazione di altrettanti temi arbitra­riamente prefissati, pretestuosi, poi parzialmente contraddetti, modificati, allontanati dagli impedimenti della forma.
La coazione autoimposta e il virtuosismo che ne consegue valgono non solo, semplicemente, quale stimolo per la ricerca poetica (invenzione ed elaborazione del materiale linguistico), ma assurgono a metodo maieutico — dunque rivelatorio — nei confronti di contenuti ipotetici e presunti interni al linguaggio: che è parte non strumentale ma costitutiva della psiche dell’individuo. Nella prospettiva teorica di una simile liberazione dell’occulto, anche l’occasionale ricupero di (apparenti) soggezioni anti­che si dichiara del tutto scevro da qualsivoglia implicatum nostalgico.

(dicembre 1985)





[1] Riferimenti tematici principali:
I = Metalinguistico, pene di scrittura, pene d’amore, entrambe le cose confuse insieme.
II = Il cigno di Mallarmé e un’esca di plastica scambiata da Gisella per vera anatra (congelata) nel laghetto di famiglia (anch’esso congelato).
III = Grazia, prima dell’evento.
IV = Anna modenese, nell’evento.
V = Metalinguistico, con richiamo esplicito cavalcantiano, ma anche Gloria, dopo l’evento.
VI = Metalinguistico integrale, con dichiarazione autoironiche sulla consunzione degli abiti scelti.
VII. Oscuro, malinconico, vagamente metalinguistico, alquanto baudelairiano.
VIII. Rossella, a Venezia, nell’evento.

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