LA DETARKOVSKIZZAZIONE DEFINITIVA DELLA MADONNA DEL PARTO DI PIERO DELLA FRANCESCA
(pubblicato in «Carte di Cinema», n. 22, 2007)
Piano-sequenza (1). Un’automobile Volkswagen “Maggiolino” percorre una pista carrareccia in territorio toscano, tra le nebbie autunnali del tardo pomeriggio (campo medio-lungo). Si ferma in mezzo alla brughiera (dopo essere uscita di quadro e esservi rientrata in campo medio-breve). Ne discende una giovane donna (italiana, ma in grado di parlare il russo con disinvoltura) e scambia qualche parola con l’uomo che è rimasto all’interno della vettura. Con chiaro accento russo, questi le chiede (in italiano) di parlare italiano. «Vedrai, è un quadro straordinario!», dice la donna... «Allora, vieni?», aggiunge dopo altre poche frasi, mentre si avvia nel prato. La risposta dell’uomo è categorica: «Non voglio». «Io vado avanti, ti aspetto dentro...», conclude lei. «Ho detto: non voglio!». L’uomo scende dall’auto, ma rimane presso lo sportello, e aggiunge, come a se stesso, in russo: «Sono stufo delle vostre bellezze... Non voglio piú niente solo per me, nessuna bellezza... Non ce la faccio piú.». Nel frattempo la ragazza si è allontanata, uscendo di quadro in alto sul prato. L’uomo sembra volerla seguire e, quando l’occhio della camera si alza per accompagnarlo lungo il sentiero, rivediamo anche lei ormai lontana e sfumante tra i vapori. Sullo sfondo, in cima a un dosso, si staglia tuttavia la sagoma di un edificio antico, con ogni evidenza la meta del viaggio.
Stacco, senza dissolvenza, e piano (2). Interno di una cripta romanica. La camera muove il proprio quadro tra le serie di colonne, seguendo la donna dall’ampia capigliatura biondo-rossastra, che procede a passi lentissimi. Un gruppo di altre donne inginocchiate, tutte con la testa coperta da foulard, entra in campo per un attimo. La ragazza si volge verso la cinepresa, ma in realtà – come si capirà tra un secondo – verso l’abside della cripta.
Stacco, senza dissolvenza, e nuovo piano (3). In controcampo, carrello lento e inesorabile verso l’abside: centinaia di candele accese sui gradoni dell’altare (assente) sono sovrastate da una nicchia dipinta sul muro di fondo: nella nicchia la pittura finge due angeli simmetrici e perfettamente speculari che aprono le cortine di una tenda da campo quattrocentesca, al centro della quale si innalza, in posizione ieraticamente immobile, una donna giovane ma dal fisico imponente: l’apertura della tenda, il gesto angelico, ne rivela la sacralità assoluta, mentre ella stessa svela, con il gesto della mano, la presenza di una seconda apertura, uno spacco ampio e verticale nel suo abito, in coincidenza del ventre rigonfio: il sesso... la gravidanza... la nascita...
Stacco, senza dissolvenza, e nuovo piano in controcampo (4). La donna guarda il dipinto, mentre una voce maschile fuori quadro le chiede: «Anche lei desidera un bambino?... O vuole la grazia per non averne?». «Sono qui solo per guardare...». Per mezzo di uno spostamento laterale della camera, compare vicinissimo il volto dell’interlocutore, il sagrestano della chiesa. Si volge alla camera di tre quarti, quasi di straforo, e sembra parlare direttamente allo spettatore. Con voce pacata e alquanto solenne, ma anche vagamente ironica, avverte: «Purtroppo, quando c’è qualcuno che è distratto... estraneo all’invocazione, allora ’un succede... nulla.».
Nella prima sequenza di Nostalghija (1982) – che in verità è la seconda, ma solo se si considera come “testuale” e non “pretestuoso” il fugace coito onirico, in bianco e nero, con un’infanzia russa caliginosamente rievocata sotto lo scorrere dei titoli di testa – Andrej Tarkovskij presenta la figura simbolica alla cui insegna ha deciso di porre il suo film italiano, e intorno alla quale andrà perciò a svilupparne la struttura fortemente allegorica. Si tratta della tentata visita del protagonista, il poeta Andrej Gorchakov, alla Madonna del Parto di Piero della Francesca, che immediatamente “precipita” nel rifiuto di costui di vedere il dipinto, e che poi, invece, per lo spettatore tuttavia si attua. È l’amica e compagna di viaggio di Gorchakov a entrare nella cripta romanica dove l’opera soggiorna, e a scoprire il culto collettivo che le viene da sempre attribuito. Come una liturgica icona bizantina, la Madonna del Parto palesa il suo carattere di opera eccezionale all’interno del patrimonio della pittura toscana del Quattrocento, e su tale carattere, inteso come chiave sostanziale di determinazione del valore, il regista russo affonda le dita avide della sua esegesi, ovvero del suo tributo entusiasta all’opera di Piero. Essa è infatti (meglio, era al tempo in cui Nostalghija fu girata) uno dei pochi prodotti d’arte sacra capaci di mantenere immutata la propria originaria sacralità, giacché, come è noto, ancora oggi (meglio, ancora negli anni ottanta del ventesimo secolo) costituisce (costituiva), per le giovani spose e per le puerpere di Monterchi presso San Sepolcro, un talismano di formidabile efficacia apotropaica. Visitare la Madonna del Parto significa(va) propiziare la fecondazione, e altresí la felicità della gestazione e della nascita, in sostanza assicurarsi la benevolenza della Vergine-Madre per l’esperienza vissuta da queste donne come la più importante e rischiosa della propria vita.
Ma ciò che balza all’occhio del conoscitore d’arte è il fatto – apparentemente strano – che l’affresco di Piero della Francesca è stato da Tarkovskij delocato e ricontestualizzato contro ogni ossequio per la verità filologica e storiografica. La cripta in cui il film depone la Madonna del Parto non si trova affatto a Monterchi, e non ha nulla a che vedere con la Cappella del Cimitero per la quale l’opera fu eseguita e in cui ancora si trovava ai tempi di Nostalghija. È invece la cripta della chiesa di San Pietro a Tuscania, nell’alto Lazio, a circa centotrenta chilometri di strada da San Sepolcro.
Bisognerà osservare, innanzi tutto, che la collocazione autentica del dipinto (la Cappella del Cimitero di Monterchi) presentava – agli occhi del regista russo, si può inferire, in quanto agli occhi di qualunque essere umano dotato di una minima sensibilità culturale e dunque di una minima capacità di intendere il senso complessivo di un’opera d’arte – due aspetti “positivi” e uno, per cosí dire, “negativo”. Il primo aspetto positivo consiste nel fatto che l’opera era conservata, appunto, nella chiesa per la quale fu effettivamente realizzata anche se (ecco l’aspetto negativo) tale chiesa, la duecentesca basilica di Santa Maria in Momentana, era stata trasformata e sostanzialmente “annichilita” nel 1785, allorché due terzi della navata furono demoliti per fare spazio all’allestimento dell’attuale cimitero.
La parte rimanente, dopo la necessaria apertura di una nuova entrata sul fronte sud del transetto, costituisce infatti la sussistente Cappella del Cimitero, all’interno del cui “nuovo spazio” la Madonna del Parto risultava in piú di un senso disorientata. Piero aveva concepito l’immagine e l’effetto mistico che da essa doveva discendere partendo, com’è ovvio, dai dati concreti della sua posizione in rapporto al luogo architettonico: chi entrava nella chiesa scorgeva fin da subito il dipinto in fondo all’edificio, al termine e al centro di due fughe convergenti di colonne romaniche, precisamente nell’occhio prospettico della piccola basilica, ossia nell’incavo di una nicchia absidale a sua volta incorniciata da colonne.
Il “mistero” della doppia apertura che l’opera viene a tematizzare, nel proprio linguaggio simbolico e ponendo il visitatore in condizioni di fascinazione estrema, si avvaleva di un tragitto a zoom (in termini cinematografici), ossia di un progresso necessariamente lento verso il dipinto, e dunque di una graduale scoperta dell’immagine, vale a dire esattamente di quell’elemento indispensabile (nel dispositivo semiotico) che Tarkovskij restaura in Nostalghija (dove svelamento significa apertura progressiva allo sguardo). Inoltre, un cono di luce, proveniente dal rosone della facciata, colpiva l’affresco al tramonto, facendolo risplendere di un’accensione che lo centralizzava ulteriormente nel contesto della chiesa.
Lo svantaggio che l’alterazione dell’edificio ha determinato per il dipinto – senza dubbio enorme e irreparabile – era tuttavia almeno in parte compensato da quello che considero il secondo aspetto positivo della sua moderna collocazione: sia pure senza alcuna responsabilità diretta di Piero, dal 1785 in poi il significato della Madonna del Parto si è impadronito dell’inopinata presenza del cimitero nelle immediate adiacenze. Voglio dire che, venendo ora a coniugare, quasi suo malgrado, e malgrado le intenzioni esplicite dell’autore, il tema della nascita con quello della morte, e anzi sovrapponendo all’ineluttabilità della morte (nel luogo medesimo del suo rito) la speranza della vita che sopra la morte incessantemente si leva e si rigenera, l’icona della Madonna Gravida (di vita e di fiducia, di promesse agli uomini di una felicità futura in grado di sconfiggere la disfatta del mondo terreno) veniva a suggerire, proprio nel cuore pulsante del suo senso piú riposto, la risoluzione di ogni singola nascita, e perfino della singola nascita di Cristo salvatore, nel mito della rigenerazione assoluta cui tutte le religioni tendono: una palingenesi esplicitata.
Tarkovskij dimostra in Nostalghija di aver compreso tutto ciò. E d’altra parte è questo il dato per cui elegge la Madonna del Parto a centro motore e chiave di volta del suo testo cinematografico. In tale comprensione – che subito si riversa in appropriazione, in costruzione artistica personale – c’è anche la penetrazione piena (dico a un altissimo livello di coscienza) del meccanismo per cui ogni opera d’arte vive nell’insieme di circostanze in cui è inserita e trae da quelle circostanze la propria stessa capacità di produrre significato. Tarkovskij ha deciso di rinnegare il cimitero di Monterchi, certo, ma lo ha fatto dopo un lungo travaglio che, anche sulla base di quanto ne riferisce il suo collaboratore Tonino Guerra, possiamo ritenere non poco doloroso; egli ha rinunciato al rispetto della verità logistica e ha trasferito a Tuscania la scena dell’approccio al dipinto: ma con il fine evidente di (ri)sacralizzarlo nella direzione imboccata piú di cinque secoli prima da Piero della Francesca.
Se si volesse a questo punto fare qualcosa di assolutamente contrario, qualcosa che andasse violentemente contro Tarkovskij e contro Piero, non vi sarebbe che da rimuovere effettivamente l’affresco, distaccandolo dal suo muro, estraendolo dalla sua nicchia, dalla sua cappella e dal suo cimitero: ma non per installarlo in una antica e solenne cripta romanica, bensí per trasferirlo in un luogo asettico e moderno, privo di connotazioni religiose, privo di aura, privo di tempo e di spazio (storico)... Magari per “proteggerlo” dal rischio delle muffe e per agevolarne la fruizione pubblica di massa, magari allestendogli intorno un piccolo museo della storia di Monterchi, magari in un edificio comunale in disuso, magari (perché no?) nei locali di una ex-scuola costruita negli anni Cinquanta del ventesimo secolo... Ebbene, è proprio questo che sciagurate menti hanno concepito per la Madonna del Parto – uno dei testi pittorici piú degni di riguardo della nostra tradizione artistica – in quel di Monterchi, allorché hanno realmente fatto distaccare l’affresco e l’hanno realmente ricollocato in uno squallido edificio del borgo sulla collina (uno dei pochi davvero squallidi in un borgo per altro bellissimo, di antiche case in pietra). Oggi la Vergine-Madre di Piero soggiorna spaesata – tra i suoi angeli ormai superflui e in una tenda che non ha alcuna piú ragion d’essere – all’interno di un orribile catafalco in cemento armato, sotto un vetro anti-proiettile, in una sala con sole luci artificiali (ovviamente studiate per non nuocere alla sua già preziosa superficie cromatica), in attesa che le torme dei torpedoni possano, dopo lauto pranzo a base di porchetta nelle osterie dei dintorni, indicarla a dito come l’incomprensibile oggetto di una nuova liturgia che gli organizzatori di gite turistiche hanno per loro concepito e nelle loro deboli teste facilmente insinuato. E il dipinto non sembra piú nemmeno un dipinto... A voler essere esatti, ci appare come una grande cartolina illustrata, un vago ricordo fotovisivo, un trucco per gli ingenui adepti della riproducibilità tecnica dell’opera d’arte e di ogni altra verità, la larva (deflorata) di ciò che fu nei secoli la stupefacente bellezza della Madonna del Parto: definitivamente detarkovskizzata!
Sandro Sproccati
Monterchi, estate 2007 – Bologna autunno 2007
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