TODO
MODO PARA BUSCAR EL CASTIGO DIVINO
sandro sproccati
Su «Todo
Modo» di Elio Petri, film visionario e realistico in un sol tempo, finalmente
riabilitato dopo una condanna durata quasi quarant’anni, restaurato e
ripresentato alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia (edizione 2014).
Narra Elio Petri che le
prime giornate di lavorazione di Todo
Modo furono quasi immediatamente gettate nella spazzatura, poiché la “trasformazione”
di Gian Maria Volonté nell’onorevole Aldo Moro era talmente persuasiva da
renderne improponibile l’effetto. Si trattava dell’uomo piú potente d’Italia, presidente
del partito di maggioranza relativa, e di certo il film non poteva permettersi
di citarlo se non facendo leva su di un minimo di “distanza”, cosí che l’avvertenza
finale potesse classicamente sostenere che “personaggi e vicende sono puro
frutto di fantasia” senza suscitare risate da ogni parte. Di fatto, il film subí
comunque, fin dalla sua prima apparizione, una pesantissima censura, ma non a
mezzo degli organi preposti all’ufficio, i quali – all’epoca (1976) – non
avrebbero potuto avvalersi di argomenti validi (nessuna offesa al pudore e
nessuna diffamazione in senso stretto), bensí per le vie traverse,
adeguatamente “democristiane”, della messa in campo di infiniti ostacoli alla
diffusione nelle sale. Il problema è che Volonté, in quel film, è proprio Aldo
Moro, nonostante la correzione in chiave moderata imposta da Petri, ed è
perfino piú Aldo Moro di quanto non fosse Aldo Moro lo stesso Aldo Moro.
“Quando girammo Todo Modo, Volonté divenne evanescente,
camminava come se fosse sulle nuvole, parlava bassa voce, non ti guardava negli
occhi, tutto preso com’era dal personaggio che interpretava.“
Tempo due anni e
quello che – nella vita reale – era stato il gran sacerdote di tutte le squallidissime
cerimonie gattopardesche della cosí detta prima repubblica, il reazionario e
scaltrissimo propiziatore del primo grande sfacelo della sinistra italiana (il
compromesso storico), colui che quasi da ciascuno veniva piú o meno
esplicitamente detestato per il suo incarnare la sintesi piú perfetta
dell’ambiguità demo-cristo-pretaiola, tempo due anni e costui sarebbe stato inopinatamente
trasformato nel piú ingombrante “cadavere eccellente” dell’antistoria
post-bellica italiana, nel simbolo delle vittime della violenza, quasi nel piú
grande eroe (caduto) di una patria che ha sempre avuto un immenso ed increscioso
bisogno di eroi. Non c’è dunque da stupirsi piú di tanto: l’agguato di Via Fani
e il ritrovamento di Via Caetani hanno sepolto, insieme a quella dell’onorevole
Moro, anche la vita del film di Petri.
Dimenticato per
decenni, Todo Modo è certamente un
capolavoro assoluto della storia del cinema, uno dei film piú forti e radicali,
oltre che linguisticamente piú interessanti, che siano mai stati realizzati in
Italia. Mescola nelle sue trame (che sono anche e prima di tutto trame visive:
ambiente, atmosfera, sfondi, gesti, inquadrature, invenzioni di ripresa e di
montaggio) l’allucinazione con la certezza, la descrizione oggettiva di una
classe di potere giunta all’apice del proprio pervertimento con la grottesca
elaborazione, in chiave altamente artistica, di un gustoso e raffinatissimo delirio
personale.
Ecco, va detto con
forza: Petri ha raggiunto con questo film il vertice qualitativo della propria opera,
in quanto è riuscito in un’impresa che aveva già tentato con Indagine su un cittadino al di sopra di ogni
sospetto (1970) e con La classe
operaia va in Paradiso (1971), un’impresa assai difficile ma in qualche modo
per lui imprescindibile: portare il “neo-realismo” di matrice
socio-storico-politica (di derivazione rosselliniana) fuori dalle secche del
semplice – e inevitabilmente banale – “cinema impegnato” degli anni Settanta.
Per farlo, e dunque per porsi all’altezza dei grandi maestri della propria generazione,
ben oltre la prima ondata neorealistica e tre decenni dopo caduta del fascismo,
e insomma per potersi ribadire a pieno titolo collega di Antonioni, di Pasolini
e di Fellini senza tuttavia rinunciare a tematizzare in modo esplicito la questione
politica, c’era un solo (todo) modo, che Petri ha saputo percorrere meglio di
ogni altro suo coetaneo: spingere forte sul tasto allegorico, insinuare il “fantastico”
dentro i reperti documentali, trasfigurare in chiave di immaginazione “onirica”
la cruda realtà della Storia, dichiarando con ciò che si può attingere in
qualche misura alla “verità” di quella solo se l’atto della sua
rappresentazione riesce a farsi audace ipotesi soggettiva e critica del
linguaggio razionale.
La metamorfosi metodicamente
perseguita del reale (nella fattispecie, in Todo
Modo, delle figure e dei comportamenti dei maggiori esponenti della
Democrazia Cristiana, riuniti a pregare da un specie di prete pazzo che li
smaschera e li conferma, che li protegge e li condanna), la sua trasfigurazione
in chiave di paradosso e di miraggio, lo svelamento continuo di un “delirio
fattivo” che è forse il Potere stesso nella propria essenza, delirio descritto
dal delirio, follia che si esplica in altra follia (la follia stessa dell’opera
d’arte), è l’autentico cuore pulsante di un film in cui tutto è stato condotto
alle estreme conseguenze, in cui tutto è effettivo estremismo, dichiarato e
buttato in faccia allo spettatore, in cui la funzione critica dell’agire
estetico si nutre, quindi, di un “dire” che è allusione sempre ribadita all’altro da ciò che è detto (o anche
dicibile): allegoria, appunto. Ma
allegoria nel significato piú profondo del termine: costruzione inventiva di istanze
ipotetiche per tentare di agguantare l’inafferrabile realtà del reale.
“Todo modo para
buscar la voluntad divina”. Il motto di Sant’Ignazio da Loyola, fondatore dei
Gesuiti, nel cui nome Don Gaetano (Marcello Mastroianni) impone ai capicorrente
democristiani gli esercizi spirituali che dovrebbero servire ad affinare la
qualità della loro azione politica (ovviamente facendo gli interessi della
chiesa cattolica), assurge nel film – che solo in parte si ispira all’omonimo
romanzo di Leonardo Sciascia – al ruolo di una specie di “sciarada” misteriosa su
cui è innescata una serie di omicidi. Tale trama sinistra e necrofora serve a
Petri per potenziare progressivamente la vena di follia che circola nel film,
il quale si astrattizza e si rende man mano piú paradossale: la stessa
recitazione di Volonté sviluppa un percorso verso un crescente incremento dell’artificiosità,
ma l’esito si fa non di meno (anzi: proprio per questo) via via piú persuasivo.
Quando il personaggio da lui interpretato espone alla moglie Giacinta
(Mariangela Melato) la teoria dei “binari che procedono all’infinito”, come
segno della sua immensa superiorità su tutti gli altri esponenti del partito,
il delirio che esplode a livello allegorico piomba fragorosamente sul piano
della storia (sciagurata) del nostro Paese, perché l’assurdità rivela il
proprio essere verità sperimentata: le “convergenze parallele” tennero davvero
banco in Parlamento e nel dibattito pubblico per molti anni! E quando Don
Gaetano, marciando come un ossesso alla guida del plotone dei fedeli, scandisce
in modo sempre piú rabbioso le litanie della Vergine, è come se tutta l’irrazionalità
di una religione che pone il castigo e la morte nel proprio motore ideologico mostrasse
ciò che essa è nei fatti ed è stata per secoli: un violentissimo impazzimento collettivo,
che ha seminato intorno a sé infinite lacrime, stridor di denti, paure e
sudditanze, prevaricazioni e torture, cadaveri e mummie di cadaveri.
Turpe è nel finale la
morte di Aldo Moro, giustiziato con un colpo alla nuca. “Perinde ac cadaver”,
diceva Sant’Ignazio: sarai ubbidiente “come un cadavere”. E anche qui, quasi a
chiudere il cerchio dell’angoscia nazionale, l’allegoria si conferma profezia,
quindi realtà futura. Con due anni di anticipo Elio Petri ha descritto, perfino
nei dettagli, quella tragedia in cui un intero popolo pervicacemente incapace
di darsi un minimo di dignità sarebbe inevitabilmente sprofondato. E si tratta
di una catastrofe nella quale, a ben guardare, sprofondiamo tuttora.
[pubblicato in «Novae» n. 1, novembre 2014]
[pubblicato in «Novae» n. 1, novembre 2014]